⛓ Catene muscolari retratte, fibrotizzate
Inviato: martedì 2 giugno 2020, 2:55
“CATENE MUSCOLARI RETRATTE, FIBROTIZZATE”
Il tessuto connettivo, per come è la costituzione del corpo umano, riveste un ruolo di estrema importanza. È come una grande e fitta rete autostradale, che porta e trasmette infiniti tipi di comunicazioni.
Il corpo umano ha bisogno di movimento: sia per sopravvivere, procurarsi il cibo, l'aria, etc..., ma anche per non perdere tale facoltà. Tanto meno ci si muove, tanto più e tanto prima si tende a perdere questa possibilità.
Di fatto il tessuto connettivo, in ragione della sua locazione e dunque composizione, tende a "compattarsi" è perdere "fluidità", "plasticità", "elasticità", nella misura in cui non gli si consente l'azione di "connettore" quale uno dei suoi compiti; lui comunica "nutrimento" e comunica "movimento" (ovviamente vi sono altre componenti di carattere nutrizionale, immunitario, etc, che concorrono a modificare la sua condizione biologica).
Nella misura in cui vi è ipo-cinesica anche di una sola parte del corpo, scenesenza, immobilità per frattura, blocco per algia, rigidità causata da vecchi traumi, etc, etc, tale tessuto tende a perdere la sua caratteristica di elasticità..., di "accompagnatore" del movimento tissutale-articolare.
Dunque la struttura corporea nel suo insieme tende ad essere meno flessibile, più rigida, meno plastica. La tendenza è quella di divenire maggiormente fibroso, imprigionando la struttura muscolo-articolare. Ecco che si parla di fibrotizzazione del connettivo. Le fibre muscolari, "intrappolate" da tale "ragnatela connettivale retratta", perdono la possibilità di esercitare la loro completa funzione verso il ritorno in eccentrica del muscolo coinvolto dal fenomeno. Il muscolo mantiene la sua capacità di contrazione perché è parte attiva, ma tende a perdere più facilmente la componente di ritorno in allungamento perché passiva o ad opera di antagonisti.
Ecco che, posture alterate, compensate, adattate..., nel tempo, hanno il potere di sottrarre libertà al sistema muscolo-articolare. Le catene divenute così corte e retratte, hanno la assoluta necessità di recuperare la loro lunghezza e libertà originale.
Si è portati a pensare, come abbiamo sempre fatto, che il classico "stretching", sia in grado di ripristinare la lunghezza della catena. Ciò non avviene per una ragione fondamentale.
Il tentativo di allungare un muscolo, innesca una forma di disagio che contravviene la prima legge del sistema biologico: la legge del "non dolore".
Ad ogni tentativo di esercitare allungamento muscolare in una area o muscolo, si attiva una sorta di "disagio". Il corpo immediatamente attiva una difesa grazie al resto degli anelli muscolari della catena e di altre catene interconnesse: "il compenso antalgico". Ci si allunga da una parte..., e ci si accorcia in un altro distretto. Questo fenomeno lo si può palesare osservare attraverso determinate tecniche di riequilibrio tensivo delle catene.
Ecco che allungare solo un distretto muscolare, si va a scapito di altri distretti più o meno adiacenti.
Questo non significa condannare lo stretching che ci ha accompagnati per migliaia di anni. Ma questo però palesa anche il perché pochi amano "istintivamente" fare stretching classico (non quello istintivo come fanno i gatti). Palesa inoltre il fatto di come in fretta si perda la capacità elastica acquisita in tale modo.
Abbiamo fatto numerosi test, ed abbiamo osservato che l'allungamento muscolare ottenuto in "globalità" delle catene, permane per un tempo lunghissimo.
Per poter modificare la catena retratta nella sua totalità, si può agire solo ed esclusivamente mettendo tutta la catena, all'unisono, in tensione..., impedendo ogni forma di compenso: la cosa più complessa in assoluto; ma..., fattibile.
I risultati sono in grado di ripagare dalla fatica e da tale impegno. Questo concetto investe ogni arte del campo della medicina, della salute, del benessere.
Prof. Daniele Raggi
Il tessuto connettivo, per come è la costituzione del corpo umano, riveste un ruolo di estrema importanza. È come una grande e fitta rete autostradale, che porta e trasmette infiniti tipi di comunicazioni.
Il corpo umano ha bisogno di movimento: sia per sopravvivere, procurarsi il cibo, l'aria, etc..., ma anche per non perdere tale facoltà. Tanto meno ci si muove, tanto più e tanto prima si tende a perdere questa possibilità.
Di fatto il tessuto connettivo, in ragione della sua locazione e dunque composizione, tende a "compattarsi" è perdere "fluidità", "plasticità", "elasticità", nella misura in cui non gli si consente l'azione di "connettore" quale uno dei suoi compiti; lui comunica "nutrimento" e comunica "movimento" (ovviamente vi sono altre componenti di carattere nutrizionale, immunitario, etc, che concorrono a modificare la sua condizione biologica).
Nella misura in cui vi è ipo-cinesica anche di una sola parte del corpo, scenesenza, immobilità per frattura, blocco per algia, rigidità causata da vecchi traumi, etc, etc, tale tessuto tende a perdere la sua caratteristica di elasticità..., di "accompagnatore" del movimento tissutale-articolare.
Dunque la struttura corporea nel suo insieme tende ad essere meno flessibile, più rigida, meno plastica. La tendenza è quella di divenire maggiormente fibroso, imprigionando la struttura muscolo-articolare. Ecco che si parla di fibrotizzazione del connettivo. Le fibre muscolari, "intrappolate" da tale "ragnatela connettivale retratta", perdono la possibilità di esercitare la loro completa funzione verso il ritorno in eccentrica del muscolo coinvolto dal fenomeno. Il muscolo mantiene la sua capacità di contrazione perché è parte attiva, ma tende a perdere più facilmente la componente di ritorno in allungamento perché passiva o ad opera di antagonisti.
Ecco che, posture alterate, compensate, adattate..., nel tempo, hanno il potere di sottrarre libertà al sistema muscolo-articolare. Le catene divenute così corte e retratte, hanno la assoluta necessità di recuperare la loro lunghezza e libertà originale.
Si è portati a pensare, come abbiamo sempre fatto, che il classico "stretching", sia in grado di ripristinare la lunghezza della catena. Ciò non avviene per una ragione fondamentale.
Il tentativo di allungare un muscolo, innesca una forma di disagio che contravviene la prima legge del sistema biologico: la legge del "non dolore".
Ad ogni tentativo di esercitare allungamento muscolare in una area o muscolo, si attiva una sorta di "disagio". Il corpo immediatamente attiva una difesa grazie al resto degli anelli muscolari della catena e di altre catene interconnesse: "il compenso antalgico". Ci si allunga da una parte..., e ci si accorcia in un altro distretto. Questo fenomeno lo si può palesare osservare attraverso determinate tecniche di riequilibrio tensivo delle catene.
Ecco che allungare solo un distretto muscolare, si va a scapito di altri distretti più o meno adiacenti.
Questo non significa condannare lo stretching che ci ha accompagnati per migliaia di anni. Ma questo però palesa anche il perché pochi amano "istintivamente" fare stretching classico (non quello istintivo come fanno i gatti). Palesa inoltre il fatto di come in fretta si perda la capacità elastica acquisita in tale modo.
Abbiamo fatto numerosi test, ed abbiamo osservato che l'allungamento muscolare ottenuto in "globalità" delle catene, permane per un tempo lunghissimo.
Per poter modificare la catena retratta nella sua totalità, si può agire solo ed esclusivamente mettendo tutta la catena, all'unisono, in tensione..., impedendo ogni forma di compenso: la cosa più complessa in assoluto; ma..., fattibile.
I risultati sono in grado di ripagare dalla fatica e da tale impegno. Questo concetto investe ogni arte del campo della medicina, della salute, del benessere.
Prof. Daniele Raggi